Foto di Alberto Cavaliere
Ho ritrovato un po' di fotografie

 


Un poeta satirico a Palazzo Marino

Walter Marossi ricorda il nostro su ArcipelagoMilano:

Precoce, fu espulso tredicenne dal collegio per aver scritto versi satirici contro i professori.     ... leggi l'articolo

10 gennaio 2021


Una strada per Alberto

Grazie al caro Alessandro Boncompagni per questa notizia:

L'iter è stato lungo e complesso, come al solito: l'istanza presentata e documentata, la ricerca di appoggi da parte di tutte le forze politiche, l'approvazione unanime in Consiglio Comunale di una mozione per l'intitolazione di una strada presa in data 1 febbraio 2018 (!), le sollecitazioni all'ufficio toponomastica perchè istruisse la pratica per la Giunta, la complessa scelta del sito... Ma alla fine ci siamo quasi, incrociando le dita! Gli uffici hanno individuato la Passeggiata Alberto Cavaliere, (1897-1967) poeta e scrittore, nell'area cittadina prossima a via Guadagnoli, a fianco di un tratto di mura della città, a pochi metri dalla sede storica di uno dei quattro quartieri della Giostra del Saracino che Alberto aveva celebrato nel suo poemetto eroicomico del 1936.

9 febbraio 2020

Alberto,
il Cavaliere che rimò la Giostra

La più ampia selezione di opere di Alberto Cavaliere si trova su
Cittanova online CITTANOVA online.

Mi piace Cittanova, il mio paese; che vedo ormai soltanto in cartolina: una ridente e mite cittadina, alla buona, così, senza pretese;

Ascolta questa poesia cantata da Melania Guerrisi, oppure recitata da Valentina Gullace, oppure su Cittanova online.

C'è una pagina su Wikipedia

Cittanova ha istituito il Premio Alberto Cavaliere.

Nino Cannatà, art director di Progetti Digitali, ha aperto un nuovo sito, Alberto Cavaliere. it dove raccoglie in una grafica accattivante la biografia sulla Treccani, le nostre foto, e una bella selezione di opere.

Poetare.it propone la Storia di Milano

Canto l'armi pietose e il capitano? le donne, i cavalier, l'armi e gli amori?... Non propriamente: canto te, Milano, e

Manicomio di Reggio Emilia cucchiai di legno, patate, urli, custodi e l'estate afosa.... Che lunga vigilia!

Marco Fulvio, di Milano, pubblica qualche poesia di Alberto —che pure era di Milano (no?)— sul suo popinga:

C' è chi ignora che molti "terron" rinomanza, splendore e fortune hanno dato alla Patria comune nella lingua che Dante parlò:

La chimica rimane tra le opere più gettonate del poeta. Edoardo Mori le dedica un paio di pagine (inorganica e organica) —sin dai tempi in cui esisteva ancora Geocities.

Da giovane studente, alunno d'istituto, non andai mai d'accordo col piombo o col bismuto; anche il vitale ossigeno mi soffocava; il sodio, per un destino amaro, sempre rimò con odio; m'asfissiò forte a scuola, prima che, in guerra, il cloro; forse perfino, in chimica, m'infastidiva l'oro.

L'area web del Politecnico di Torino ospita un sistema periodico da Amedeo Avogadro a Primo Levi dove si racconta la storia di quell'esame a ottobre, quando "L'esaminatore, disfatto dalla routine, chiese a quel giovane calabrese che cosa fosse il cloro. E Cavaliere, pronto:

Composto trovasi, puro non già, per la sua massima affinità. Giallo verdognolo, d'odor non grato, è un gas venefico che ci vien dato...

Il lavoro del poeta comprende anche opere fatte per mestiere, come sembrano la gran parte delle canzoni, tipo Jezabel di Mina. Ci sono anche ricette di cucina, fiabe per bambini e la traduzione dell'inno dell'URSS, indice di un certo orientamento politico...

Camera dei Deputati A proposito del fatto che Alberto mettesse in versi tutto, riportiamo dal portale storico della Camera dei deputati una parte della seduta del 17 ottobre 1957 che sembra in metrica, tanto che, nella successiva seduta del 24 ottobre 1957 Francesco Franceschini parlò di "giudizi espressi in endecasillabi sciolti". Alberto aveva sicuramente preparato, almeno in parte, il discorso. Però è interessante osservare come gli siano riuscite meglio le rime improvvisate, specialmente nelle frasi rivolte a Moro.

CAVALIERE ALBERTO.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi propongo qui di esaminare soltanto tre settori della scuola, che tratterò per ordine alfabetico; anzi, se permettete... analfabetico.

Infatti, parlerò, per cominciare, dell’analfabetismo, il quale è solo un aspetto, intendiamoci, sia pure il più vistoso, il più compariscente, di un male assai più vasto, di cui soffre la società italiana, vale a dire la sua incapacità di assicurare un minimo sia pure d’istruzione a tutti quanti i propri componenti, quale che sia la loro condizione sociale e la regione in cui risiedono.

Ma, poiché il tempo è molto limitato e in ogni caso è poco sufficiente, farò solo una critica veloce di questo immarcescibile bilancio, che, nonostante il conclamato aumento, è immutato e immutabile negli anni, rimanendo lo specchio più fedele della continuità di una politica che ha condotto la scuola a questo stato, e a tutti i suoi molteplici malanni; e l’ha condotta volontariamente.

Lo stesso Franceschini deve ammettere nella sua relazione - attenta e onesta, ma fra le righe molto malinconica - ch’è un bilancio (lo dice in tutte lettere) di gran lunga il più povero fra tutti, non per la cifra in sé, ma in paragone ai bisogni, agli scopi da raggiungere, soprattutto all’attesa del paese.

Secondo una statistica dovuta allo Unesco, l’Italia in questo campo è la ventiduesima in classifica: tra i fanali di coda; il che significa che, per quanto riguarda l’istruzione, rischiamo fatalmente di finire entro la serie C: siamo più bravi, senza dubbio, nel gioco del pallone.

Ora, la nostra Costituzione (anche se adesso c’è chi la ripudi) afferma che la scuola è aperta a tutti; vuole che l’istruzione inferiore, gratuita e obbligatoria, sia impartita almeno per otto anni, ed oltre tutto afferma che i capaci e i meritevoli, anche sforniti di qualsiasi mezzo, hanno il diritto di poter raggiungere i più elevati gradi degli studi.

Ma sta di fatto che la nostra scuola (circa a cento anni ormai dall’unità) non ha saputo ancora assicurare a tutti, per intero o almeno in parte, il corso degli studi elementari e che la sua struttura è così fatta, che solamente può perpetuare, più che ridurre, le disuguaglianze nei punti di partenza. Oggi, su circa 38 mila scuole elementari, almeno un quarto non possiede ancora l’intero corso; e poi, specie nel sud, classi sovraffollate e classi plurime. E a volte, quali classi! Ne ha parlato ieri mattina il nostro Della Seta. E del resto in quest’aula, in un discorso, ch’io tenni sul medesimo argomento, due anni fa, parlai di Cittanova: grosso paese calabro, ove esiste anche un liceo, piuttosto decoroso, con un giardino e il busto di un poeta. Ma la scuola, la scuola elementare, è sistemata ancora in una stalla (lo era, almeno, fino all’anno scorso). Ed in Calabria ancora (ve ne parlo, data la mia qualifica d’oriundo), a Verbicaro, o in una sua frazione, c’è una scuola davvero singolare, che potrebbe chiamarsi scuola-ovile. È una capanna priva d’aria e s’apre quando le bestie vanno a pascolare (escon le capre ed entrano gli alunni), per richiudersi poi verso il tramonto (escon gli alunni ed entrano le capre). Ed in provincia di Matera, a Jotta, c’è un’altra scuola (che malinconia!), in uno sgangherato baraccone senza finestre, dove i bimbi portano, ogni giorno, ciascuno un suo mattone, innalzando così dei pilastrini, per potervi poggiare delle assi su cui sedere; e rifanno, al ritorno la strada col medesimo mattone, perché nessuno glielo porti via.

Esempi estremi d’una situazione, purtroppo, poco bella e poco gaia, che denota uno stato d’abbandono, il quale si riassume in queste cifre: sono 60 mila e più i maestri (e sono centinaia di migliaia d’alunni) che non hanno un’aula; e sono 30 mila i maestri che si trovano ad insegnare in aule di fortuna... o di sfortuna. Si riscontra inoltre un duplice fenomeno: da un lato l'evasione dell’obbligo scolastico, dall’altro dispersione degli alunni dalla prima alla quinta elementare. Circa un terzo si perde per la strada, come ignorata inutile zavorra, di cui la società non ha bisogno. Nel Mezzogiorno avviene addirittura che su 100 scolari 37 solamente raggiungono la quinta; e superarla ed andar oltre è un sogno che sconfina pei più nell’impossibile.

Quali sono le cause del fenomeno, di questo male non immaginario? Le conosciamo: la miseria endemica, un'assistenza più che lacrimevole, la mancanza di scuole, la penuria d’aule (per cui ne mancano al momento 69 mila: il 41 per cento e più rispetto al necessario).

E non parliamo poi dell’istruzione secondaria inferiore; obbligatoria anch’essa, per lo meno in teoria. Vi sono suppergiù 600 mila ragazzi che conseguono attualmente ogni anno la licenza elementare; e, di questi, 220 mila almeno non proseguono gli studi. Su 2 milioni e mezzo di ragazzi fra gli 11 e i 14, risulta che nel ’54 solo in numero di 424 mila si iscrissero alla scuola di avviamento professionale. Una fortuna in fondo, v’è da dire, perché, se in quella scuola avessero voluto iscriversi altri, avrebbero dovuto far la fila inutilmente: rimandati a casa, per deficienza di aule e di insegnanti.

E per quanto riguarda l’istruzione professionale, no, sinceramente non condivido affatto l’ottimismo di Franceschini, il quale in 2 miliardi straordinari, destinati appunto a questa scuola, vede i1 toccasana: vede colmate o almeno attenuate in maniera decisa le lacune del bilancio in esame: una nutrita serie di nuove classi in tutti i rami più frequentati e più congestionati degli istituti tecnici, incremento d’attrezzature, insomma, un buon cordiale se non un elisir di lunga vita.

Ma aggiunge poi lo stesso relatore, non senza contraddirsi, sopraffatto da un’ondata di sùbito sconforto: un respiro che in fondo è solo il 4 per cento della somma complessiva che è stata destinata a quel settore: si tratta di un respiro troppo corto. Si potranno in tal modo costruire le aule necessarie - egli si chiede - a contenere la crescente schiera degli scolari ? No, sicuramente - egli stesso risponde -; e, come in genere suole accadere, cercheremo ancora delle sistemazioni di fortuna o di ripiego, in linea provvisoria, con indubbio disagio del profitto. E i 2 miliardi se ne andranno in fumo, al più lasciando solo un po’ di cenere.

I1 provvisorio, sempre il provvisorio, senza nessuna base di certezza: il Governo così fa con la scuola, come un bravo papà, povero e scaltro, che spera solo nella provvidenza e tira avanti a furia di espedienti, tappando un buco per aprirne un altro.

Lo stesso Franceschini riconosce: "ci vuo1 ben altro per un’edilizia professionale", per poter uscire dalla strettezza annosa ed angosciante che umilia, che avvilisce, che deprime la scuola regolare dello Stato, spettatrice finora a bocca asciutta del fluire di innumeri miliardi a favore di tante iniziative non regolari e per lo più dannose. Siamo d’accordo con il relatore. Solo che in quell’esiguo stanziamento oggi egli vede un’arra di speranza: che diventi più seria quella scuola e che ben presto cambino le cose. Ed aggiunge che vale, la speranza, ben più di 2 miliardi, e si consola...

Manca ancora un capitolo che regoli questo settore, e manca anche una legge: poiché uno schema apposito, approvato da tempo dal Consiglio dei ministri, non si sa come, dorme indisturbato. Ma il nostro relatore è un ottimista: manca la legge, ma sarebbe peggio - osserva - se ci fosse quella legge e mancassero invece gli istituti. Però sarebbe meglio, Franceschini, se ci fosse la legge, ed operante, insieme agli istituti... ed ai quattrini. Erano stati chiesti in questo ramo ventun miliardi o poco più d’aumento, rispetto all’esercizio precedente, ma la Tesoreria, come sappiamo, ne ha concessi soltanto una metà. Ha sottratto così 10 miliardi all’istruzione professionale, un ramo destinato all’avviamento almeno di 600 mila giovani, cifra che d’anno in anno crescerà.

Ma, qui pure, non è solo questione di miliardi, onorevoli colleghi. I1 fatto è che s’impone una riforma, riforma di programmi e di struttura. Dovrebbe provvedere, l’istituto professionale, a dare allo scolaro una preparazione più specifica, affinché questi, terminato il corso, possa entrare nel ciclo produttivo. Che cosa fa la scuola dello Stato preposta a questo scopo? Sono idonei gli strumenti che adopera? È in attivo il suo bilancio tecnico? Ed è utile l’opera svolta da cotesta scuola, dimenticata, grama Cenerentola?

In Italia, per vecchia tradizione, almeno la metà degli studenti viene avviata all’istruzione classica, che sbocca poi nell’università e conseguente laurea. Senonché, per diversi motivi, molti giovani sono indotti a interrompere gli studi, e si trovan così senza nessuna preparazione pratica, specifica: una manovalanza intellettuale, che non può esercitare alcun mestiere, destinata ad accrescere la schiera di coloro che cercano un rifugio negli uffici privati o, meglio ancora, che si rifugian sotto le grandi ali della burocrazia ministeriale. Non importa se poi, dopo il liceo, non si sappia più un’acca di latino, si ignorino Virgilio e Cicerone, e dei grandi poeti nazionali rimanga a mente qualche vago brano: "Nel mezzo del cammin di nostra vita..." Canto l’armi pietose e il capitano..."

(Applausi).

I genitori pensano, ancor oggi, che l'istruzione tecnica sia quasi un ripiego umiliante: cosicché (come leggevo su Comunità), mentre noi c’incantiamo a contemplare le vestigia di Roma, non sappiamo di vivere, purtroppo, in mezzo a un popolo d’analfabeti o semianalfabeti. Il 70 per cento, o poco meno, delle forze italiane del lavoro ha una cultura quasi a quota zero. Dei due milioni di disoccupati, non c’è nessuno ch’abbia una qualifica professionale, ed i sottoccupati vivon di vita grama, senza alcuna speranza di avvenire. E tuttavia, non contando la scuola elementare, la parte più cospicua, più nutrita del bilancio di questo ministero è destinata all’istruzione classica, alla quale si attaccano decine di migliaia di giovani, in mancanza d’altra uscita, di cui la maggioranza disprezza Orazio e maledice Omero.

Da qui la deficiente diffusione della scuola preposta all’istruzione professionale: in modo più notevole nel Mezzogiorno, dove manca quasi una metà delle aule necessarie, o dove le aule sono sistemate in edifici assurdi, irrazionali, chiusi alla vita, chiusi all’aria e al sole, come antichi e cadenti monasteri, case private, vecchie scuderie, o antichi uffici pubblici, riattati alla meglio per farne delle scuole. Le quali son costrette a doppi turni e devono assai spesso rifiutare, per mancanza di posti, le iscrizioni. Pensate che i1 60 e più per cento dei comuni con più di 5 mila abitanti son privi di una scuola d’avviamento, per cui privilegiati sono solo i ragazzi appartenenti a famiglie più o meno benestanti. Gli altri ne sono esclusi, ma lo Stato inganna i cittadini, proclamando, con alto senso di democrazia, un principio giuridico, per cui fino ai 14 anni l’istruzione sarebbe obbligatoria: una bugia.

C’era il piano Vanoni che cercava di rimediare a queste deficienze, ma - mi sembra - quel piano è ormai caduto nel dimenticatoio nazionale. Comunque, per risolvere un problema che pesa sulla nostra società, bisognerebbe riqualificare le forze del lavoro e provvedere all’istruzione delle nuove leve, quelle che si preparano ad entrare, fresche ancora, nel campo del lavoro: onde occorre adeguare la struttura della scuola ed i metodi didattici alle nuove esigenze della vita. Ed i vari Governi han dimostrato che a risolvere i gravi ed impellenti problemi della scuola e del lavoro occorrono altri mezzi, altri sistemi, e soprattutto occorrerebbe un’altra mentalità, diversa dalla loro.

E sono giunto all’ultimo argomento - dulcis in fundo - l’università. Un’università, quella italiana, avulsa dalla vita del paese. Ha una struttura interna sorpassata e in essa aleggia un’aura medioevale.

"Pochi posti di ruolo, innanzitutto, e assegnati, del resto, con concorsi fasulli, fatti apposta - scrive Il Giorno, un giornale non certo sovversivo - per favorire illeciti mercati".

MORO, Ministro della pubblica istruzione.

Ma come si fa a dire questo in linea generale? Si offende tutta l’università parlando di concorsi fasulli.

CAVALIERE ALBERTO.

Signor ministro ho detto: scrive Il Giorno, un giornale d’idee non sovversive: ed io non sono certo responsabile di tutto ciò che quel giornale scrive.

Dunque, tra virgolette: "... fatti apposta per favorire illeciti mercati e il predominio delle cosiddette scuole che, in realtà, sono dei trucchi o, tuttalpiù, non sono molte volte che private congreghe, nelle quali uomini vuoti, ambiziosi, lontani da ogni vero interesse per la scienza - per usar le parole di Trabucchi, deputato non certo sovversivo - riescono con l’intrigo e con l’inganno ad affidar le cattedre a modesti allievi che non possano dare ombra".

MORO, Ministro della pubblica istruzione.

Si sarà dato qualche caso, ma non si deve generalizzare.

SEGNI, Presidente della Commissione.

Ella ha torto, onorevole Cavaliere. Vi sarà qualche raro caso, ma non si può dire questo di tutta l’università.

CAVALIERE ALBERTO.

Di tutta no, ma di una buona parte... D'altronde, la carriera di assistente è così congegnata che sconsiglia ai giovani più colti e intelligenti la carriera scientifica: stipendi di vera fame (questo si può dire?), grami stipendi che si dovrebbero moltiplicare per numero fisso 3, 14 15 per dare la possibilità di un’esistenza. Laboratori ed istituti anemici, dove si tira avanti alla giornata, sforniti di moderne attrezzature e sforniti di sedie, addirittura: gli alunni spesso siedono per terra, ci ha detto l’onorevole Alicata.

MORO, Ministro della pubblica istruzione.

L’onorevole Alicata dice sempre delle verità.

(Commenti - Si ride).

CAVALIERE ALBERTO.

"E molte volte quelle attrezzature sono state acquistate per figura, ma nessuno le adopera, mancando il denaro, la voglia e il personale’ Le biblioteche per lo più difettano delle pubblicazioni più importanti perché gli stanziamenti, quando bastano, servono per pagare la luce e il gas". Sempre tra virgolette; sono dati tratti da un autorevole giornale.

MORO, Ministro della pubblica istruzione.

Le virgolette non mi commuovono, onorevole Cavaliere: ella porta delle testimonianze.

CAVALIERE ALBERTO.

Non parlo di giornali sovversivi, non dell’Avanti! e non dell’Unità: di giornali, bensì, governativi, che son soliti dir la verità.

(Si ride).

MORO, Ministro della pubblica istruzione.

Questo non vuol dire niente: qualche volta anche i sovversivi possono dire delle verità e i non sovversivi delle sciocchezze.

(Commenti a sinistra)

CAVALIERE ALBERTO.

E gli studenti, la materia umana che - quella almeno - non difetterebbe, si vedono purtroppo abbandonati dai loro professori a se medesimi, sia nella scelta della facoltà che nel corso normale degli studi; di modo che finiscono, il più spesso, col preferire alle aule della scienza l’ombra discreta dei giardini pubblici.

Anche nelle materie letterarie questo distacco, sempre più profondo, che c’è tra il professore e lo studente, conduce a risultati deplorevoli. Si parla di somari laureati, i quali si presentano a un concorso scambiando Galilei con Garibaldi, e intanto son supplenti in un liceo. Ma la colpa ricade innanzi tutto sui professori, i quali, a cuor leggero, e in maniera davvero disinvolta, danno la laurea a gente mai veduta, mai conosciuta, a gente che agli esami vedono forse per la prima volta.

E dopo, sono state improvvisate diverse facoltà di magistero, a cui si riconosce indubbiamente uno scopo economico-sociale, in quanto danno a tanti bravi giovani un titolo di studio ed un impiego. Ma per quanto riguarda il rendimento culturale, didattico, scientifico, è meglio non parlarne: è naturale che, uscendo da quei corsi, poi si scambi Francesco Sforza o Ludovico il Moro (e domani, può darsi, anche... Aldo) con Lorenzo de’ Medici...Rettifico: temo purtroppo che il ministro Moro non sarà mai scambiato col Magnifico.

(Si ride).

Secondo le statistiche, del resto, per ogni 48 e più studenti esiste solamente un professore. Abbiamo infatti 1.500 professori di ruolo, nel complesso, laddove i professori incaricati son 4 mila; ed il bilancio, intanto, non ricopre il totale delle spese pei professori non di ruolo. Ed ora, come se questo non bastasse, arriva la decisione ministeriale di decurtare i fondi destinati alle università, di dimezzare il pagamento dei copiosi debiti contratti dallo Stato nei confronti degli atenei, che, com’è noto, anticipan da molto tempo in qua tutte le spese per il corpo docente, a cui è lo Stato che dovrebbe pagare lo stipendio. Ora il ministro dice: ho provveduto. Meglio tardi che mai, ma sempre tardi, avete riparato a un vilipendio.

Situazione grottesca, sconcertante, paradossale, quella in cui vivacchia la cultura italiana. Un professore scriveva sull’Avanti milanese: "Si spendono decine di miliardi per armare le forze poliziesche, per costruire o riparare chiese, per poi negare alle università i mezzi indispensabili alla vita".

Nonostante l’aumento del bilancio, si nota che, purtroppo, nel settore ch’è forse il più importante e che riguarda la ricerca scientifica, le somme stanziate sono sempre a un punto fisso.

Signor ministro, so che giorni or sono è venuto da lei Sabato Visco, preside, a Roma, della facoltà di scienze, e che le ha detto onestamente che i professori, stanchi ed avviliti (poveri professori, io li capisco)...

MORO, Ministro della pubblica istruzione.

A prescindere da quei famosi concorsi fasulli di cui ella parlava prima.

CAVALIERE ALBERTO.

Non son io che l’ho detto, in quanto che da tempo non frequento più le scuole; ma lei torna ad insistervi, perché... la lingua batte dove il dente duole.

Visco le ha detto che quei professori non intendono più continuare a far finta di adempiere sul serio una missione resasi impossibile; che occorrono nell’aule altri assistenti, che, soprattutto, nei laboratori bisogna far entrare gli strumenti necessari allo studio e alla ricerca, mancando i quali non si va più avanti.

Il Visco le avrà detto come a Roma vi siano un professore e due assistenti, che, nella facoltà di geologia, debbono provvedere ad erudire, da sé soltanto e con i mezzi che hanno, diverse centinaia di studenti. Me li saluta, lei, gl’idrocarburi del nostro sottosuolo, e i minerali, che, in tal modo istruiti, quei futuri ingegneri e dottori studieranno?...

Occorre che da parte dello Stato si provveda al più presto alla istruzione superiore, in modo che risponda ad una sua funzione propulsiva; occorre che lo Stato, senza indugio, appronti gli strumenti necessari perché si possa mettere all’altezza dei paesi civili in questo campo.

Si parla di risolvere il problema aumentando le tasse agli studenti. Grave errore: risulta da un’indagine condotta ultimamente da La Stampa che, degli iscritti alla università (a quella di Torino esattamente), la parte più notevole è composta da figli d’impiegati e d’operai, e di questi studenti una metà è costretta purtroppo a lavorare per pagarsi le tasse e gli alimenti. Un’università dove l’antica spensieratezza è un mito, o un privilegio solo di qualche figlio di papà e dove gli studenti bisognosi dovrebbero ricevere un aiuto, nello stesso interesse, dopo tutto, della cultura e della società. Troviamo, invece, degli stanziamenti, per l’assistenza ai giovani, del tutto inadeguati, più che insufficienti, lontani dall’assolvere quel compito a cui son destinati. Ora, un aumento, qualsiasi aumento della tassazione, avrebbe come solo risultato di colpire le classi meno abbienti, e particolarmente il tartassato ceto medio, ch’è quello che fornisce il più grande tributo di studenti. Dell’università fareste solo l’appannaggio dei ricchi: e dove andrebbe l’auspicata struttura democratica che noi vorremmo dare agli atenei? C’è qualcuno che afferma: poco male, ridurremmo in tal modo i laureati, dato che il loro numero è soverchio rispetto al fabbisogno nazionale. Però, non è così, signori miei: ed il soverchio numero, semmai, potrebbe riguardare, qui da noi, le facoltà umanistiche soltanto, e non quelle scientifiche, le quali soffrono di penuria di studenti.

Lo sviluppo economico e sociale del paese, nei prossimi dieci anni, secondo i più autorevoli scienziati, richiederà nel campo della tecnica ogni anno 9 mila laureati, in luogo dei 3 mila o 4 mila che sfornano oggi le università.

Ma adesso l’onorevole Fanfani ha preparato un piano che ben presto metterà tutto a posto in questo campo: un piano che fa parte dei miracoli elettorali, assai probabilmente.

Ma il tempo scade e cerco di concludere.

Alla mancanza d’aule, d’insegnanti, alla preparazione insufficiente d’alunni e, molte volte, di docenti, all’analfabetismo persistente, agli infimi stipendi, alla scarsezza di fondi, di cui possono disporre i più alti istituti di ricerca, all’approssimazione senza impegno, si aggiunge il peso di problemi nuovi, che tutto il mondo avverte e che da noi sono ignorati o sottovalutati.

La crisi non è solo nella scuola, ma investe tutta, ormai, la società. Sì, perché l’urto del progresso tecnico, il crescente sviluppo, in tutto il mondo, d’una complessa civiltà industriale, chiedono che le forze del lavoro vengano preparate a nuovi compiti. Né c’è tempo da perdere, signori. Tutte le società più progredite stanno già trasformando in modo adatto strutture e concezioni educative. L’America, la Russia, l’Inghilterra, pur diverse nei loro ordinamenti, hanno avvertito la necessità di adeguare le forze del lavoro ai due nuovi elementi che si chiamano: energia nucleare e automazione; mentre la nostra classe dirigente si dimostra incapace di adattare la scuola alle esigenze più moderne.

Io non vi dico affatto di lanciare una luna anche voi, come i sovieti, e come, prima o poi, gli americani. In questo campo noi siamo rimasti all’ardue fantasie di Giulio Verne. E in quanto a luna, voi siete più bravi a farcela vedere in fondo al pozzo. Comunque, non è ai voli interstellari che pel momento aspira il nostro popolo. È questa una materia che da noi fornisce solo spunti agli umoristi, ed anche all’onorevole Bettiol, il quale afferma: "tutta propaganda!" Umorista anche lui, come il giornale che riportava questi alati versi:

"Una pubblicità di nuovo genere il cielo solcherà da parte a parte: Luna di miele sul pianeta Venere... Giove vi attende... Visitate Marte... La crociera più rapida: in un giorno Terra-Mercurio-Venere e ritorno..."

(Si ride).

Sorridiamo, onorevoli colleghi. Ma, a parte lo scherzuccio di dozzina, il progresso sta a cuore a tutti noi: anche un progresso assai più terra terra. E certo non sarà questo bilancio ad indicarci delle soluzioni, o un desiderio di rinnovamento da parte dei signori governanti, che non hanno sentito questo slancio, questa necessità di elaborare un pensiero scolastico moderno, il quale si colleghi in modo organico alle nuove esigenze della vita, alle esigenze della civiltà. Voi tendete soltanto al monopolio confessionale della nostra scuola, tornando indietro almeno di due secoli. Dante condanna alcuni peccatori a guardare all’indietro, sempre indietro, come voi fate; e invece è necessario guardare avanti, avanti e ancora avanti, lungo un cammino a cui solo conducono il socialismo e la democrazia. Ho finito, signori. Così sia.

(Applausi a sinistra - Congratulazioni)

 


Il 25 aprile di tanti anni dopo ritroviamo questa tessera:
Tessera di riconoscimento emessa dal Comitato di Liberazione Nazionale, Brigate Matteotti, intestata ad Alberto Cavaliere


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